[INTERVISTE] Intervista con l’autore. Luca Farinotti presenta il suo libro “Volevo solo nuotare”

In questa sua nuova intervista lo scrittore e ristoratore parmigiano Luca Farinotti presenta il suo libro “Volevo solo nuotare”

Salve a tutti!

Copertina libro Luca Farinotti

Questa sera torna una delle rubriche da voi più amate; quella delle “Interviste con l’autore” della nostra inviata dalle terre parmensi Isabella Grassi che nell’intervista di oggi incontra Luca Farinotti, una vecchia conoscenza di questo blog che ha ospitato, tempo fa, una sua precedente intervista, il quale, in questa occasione, presenta il proprio romanzo intitolato “Volevo solo nuotare“, edito da Artingenio Francesco Corsi.

Ma ora è il momento di cedere spazio e parola a Isabella Grassi e al suo graditissimo ospite.

 

INTERVISTA CON L’AUTORE.

Luca Farinotti 

VOLEVO SOLO NUOTARE

(200.000 bracciate con Rachele Bruni)

ARTInGENIO per la collana “Italia sul podio” (2019)

"Volevo solo nuotare" di Luca FarinottiUn libro insolito questo di Luca Farinotti, scrittore e ristoratore parmigiano.

Ho già avuto modo su queste stesso blog di parlarvi di lui e del suo #mondoristorante

Anche in questa nuova avventura Luca affronta una narrazione diversa da quella cui il lettore medio è abituato, presentando come in un romanzo non tanto e non solo la campionessa sportiva Rachele Bruni, ma facendo vivere e appassionare alla tensione e alla speranza che tale scelta di vita comporta.

C’è una frase ricorrente nell’opera dell’allenatore di “Sbirulino” alias Rachele, che racchiude e al contempo permane di sé tutta la lettura ed è quella con la quale Fabrizio (alias “quello dal cappellino rosso”), descrive le “doti nascoste” di Rachele che, dopo aver speso parole e parole sulla tecnica, sulla empatia, sulla sua capacità di essere al posto giusto al momento giusto sono le seugenti: “Rachele è come un supereroe, è come se si trasformasse quando si mette il costume da gara”.

Dopo aver letto queste 17 parole l’immagine di Rachele, che fino a pochi istanti prima appariva nel costume da bagno in piscina con la cuffia e gli occhialini, lascia improvvisamente il posto ad un supereroe che per me, la cui adolescenza risale agli anni 80 fa pensare a Wonder Woman o alla Donna Invisibile piuttosto che Bat Girl, ma come il lettore scoprirà nella lettura per Rachele classe 1990 l’accostamento sarà diverso.

Rachele novella supereroe si trasfigurerà e la sua nuotata fatta da una serie di “frustate scomposte nell’acqua” diventano come per magia il volano per utilizzare al meglio le sue doti battagliere e le sue strategie per comparire improvvisamente al posto giusto.

Il lettore viene quindi completamente coinvolto e assiste da spettatore privilegiato allo sviluppo del piano di battaglia.

Rachele rappresenta, per usare le parole del libro, “una storia di superamento straordinario” e fa tenerezza leggere come Rachele  evolva dall’essere “chìssene”.

Anche in questo ultimo libro Farinotti dimostra una capacità narrativa molto particolare riuscendo a rendere in forma di romanzo quello che in realtà è un susseguirsi di interviste. Non mancano poi alcuni tecnicismi quali l’utilizzo di figure retoriche come “qui neve cade su neve” o il più moderno utilizzo di hashtag come #volevosolonuotare che Luca ama e che discendono direttamente in parte dagli studi classici e in parte dal suo essere agganciato alla vita moderna,

Un’altra piccola chicca è la presenza nel libro di una ricetta di cui non vi svelo nulla e vi esorto a trovarla.

Chiudo questa mia breve dissertazione con alcune domande all’autore, che visto il momento che stiamo vivendo e la maggiore conoscenza sviluppata in questi due anni è purtroppo avvenuta via whatsapp e senza il bicchiere di vino del nostro primo incontro…

Cosa ti ha spinto ad affrontare la narrazione sportiva?  Quanto lo sport ha fatto parte della tua vita?

“Volevo solo nuotare” è il primo libro di una collana dedicata agli atleti e, soprattutto, alle atlete che nei cosiddetti sport minori (olimpici) hanno reso grande l’Italia attraverso imprese eroiche. Sono appassionato di sport e sono uno sportivo ma, a prescindere da ciò, amo la narrativa sportiva da sempre. Ho alcuni modelli di riferimento come Osvaldo Soriano, per esempio. Il mio primo romanzo, tra l’altro (Lo stadio più bello del mondo del 2007) intreccia tratti di cronaca calcistica alla storia di quei ragazzini di campagna degli anni ottanta. La monografia su Rachele Bruni mi è stata commissionata in occasione del Premio Bancarella dello scorso anno. Mi sono stati proposti alcuni atleti e ho scelto lei senza indugio; la sua medaglia olimpica è stata epica e la sua storia umana è una favola permeata di magia.

Per raccogliere le informazioni che ti hanno permesso di scrivere l’opera hai seguito Rachele in vari allenamenti e ti ha accompagnato anche Marina, la tua compagna, che è stata partecipe di alcuni interventi. Come avete vissuto questa esperienza?

Sono stato con Rachele e con la nazionale olimpica di nuoto a novembre, durante la preparazione in altura, nella struttura di allenamento olimpico di Livigno. Un’esperienza indimenticabile, il contatto con atleti che, a fronte di un normale stipendio da impiegato, vivono tutto l’anno in clausura praticando un’abnegazione al proprio sport pari, se non superiore a quella che vediamo negli atleti delle discipline professionistiche

L’idea della ricetta nel libro, parlamene.

Libro di Luca Farinotti con tazzina di cafféLa ricetta è una costante perché Rachele è come Kung Fu Panda. Ha una ricetta per vincere che contiene un ingrediente segreto. Poi, essendo lei molto appassionata di cucina, la similitudine è venuta da sé. Qual è il suo ingrediente segreto? Lei stessa, che si specchia su una pergamena lucida in cui non è scritto nulla

Quale messaggio vuoi lasciare al lettore?

Al lettore voglio solo raccontare una bella storia e una persona normale che, nella sua disciplina, è un’eroina. Quindi il messaggio, forse semplice, è che tutti noi possiamo essere eroi in ciò che facciamo nella nostra quotidianità se ci mettiamo tutto di noi stessi

In ultimo vuoi parlare della candidatura al Premio Bancarella?

Sono felice per la candidatura. È un piccolo record: nessun autore è mai stato finalista prima in 2 categorie diverse del Bancarella.

Sono felice anche per Rachele perché è l’unico libro, a parte quello sul calcio, tra i finalisti, ad avere come protagonista una donna

Non mi resta che augurarvi  come al solito una Buona lettura.

Isabella Grassi  

 

[INTERVISTE] Intervista con l’autore. Luca Farinotti

La nostra Isabella Grassi ci presenta in anteprima il nuovo libro di Luca Farinotti

Salve a tutti di nuovo!

Copertina nuovo romanzo di Luca Farinotti

In attesa della presentazione ufficiale la nostra bravissima Isabella Grassi ci presenta il nuovo libro di Luca Farinotti. Ora cedo la parola a lei e al suo graditissimo ospite:

INTERVISTA CON L’AUTORE

Luca Farinotti 2019

PARMA 2020. Best restaurants & Foods Producers.

Edizioni Diabasis 2019

Carissimi lettori di Recensioni Librarie, spero di non stancarvi parlandovi più volte degli stessi autori, è vero, ho già intervistato per voi Luca Farinotti,  lo scrittore-imprenditore della mia amata Parma, e come l’anno scorso vi ho annunciato l’uscita del libro #mondoristorante nella mia intervista con l’autore: Luca Farinotti, e via via ve lo ho fatto seguire nelle sue presentazioni e spero di avervi fatto innamorare del suo modo di scrivere sul mondo della ristorazione, oggi sono lieta di rendervi partecipi ancora una volta di una anteprima.

A metà giugno uscirà questa nuova opera di Farinotti interamente dedicata alla scoperta del cibo a Parma. Come il titolo rivela è una guida pensata per Parma 2020, anno in cui la città emiliana sarà capitale della cultura.

Io ora ho fra le mani la “bozza di stampa”, e siccome Luca non mi ha dato nessun indizio sulla copertina, ho pensato di mettere come immagine allegata a questo articolo il giardino del suo ristorante il Mentana 104, appena risistemato.

La prefazione è a cura di Marco Pozzali, un nome che nel mondo del buon cibo e soprattutto del bere bene non ha bisogno di presentazione e lo scrittore sommelier descrive la cucina parmigiana come “permeata di ruralità” che fa provare a chi mangia a Parma “un’esperienza sinestetica ancora legata a una percezione collettiva, allo stratificarsi dei ricordi e delle immagini culinarie di famiglia”, per poi arrivare a descrivere la guida di Farinotti come un vero e proprio libro di viaggio, “una sorta di Lonely Planet parmigiana del gusto dove si incontrano persone vere e virtuose, siano essi produttori, baristi, enotecari, torrefattori, ristoratori, osti resistenti.”

Come non concordare? Confermo da parmigiana doc che ogni famiglia della mia città ritiene di essere la sola detentrice della vera ricetta degli “anolini” (pasta ripiena da mangiare in brodo), e le vacanze di Natale sono interamente dedicate a disquisire sulla bontà del ripieno e del brodo che deve essere rigorosamente di cappone.

Confermo poi da lettrice di Farinotti che anche in questa opera il lettore viene guidato dalla sua narrazione, (che benché più limitata trattandosi di una guida per quanto romanzata), alla ricerca del vero tesoro: il ristoratore resistente. Anche qui come in #mondoristorante è infatti l’angelo custode del lettore, e i richiami sono continui. L’incipit è dedicato ad uno dei protagonisti dell’opera precedente: Ales Krinstanic che soleva ricordare come non vadano servite le acciughe se non sono di qualità e ritroviamo altri protagonisti come Diego Sorba (oste del Tabarro di Parma, locale della centrale via Farini a Parma),  che da “fulgido esempio di come si possa, arrivando a incarnare la propria missione in senso tutt’altro figurato, diventare una carta dei vini vivente, vocale e interattiva in costante virtuoso divenire”, di #mondoristorate diviene ora un “ricercatore ossessivo e compulsivo… a caccia di prodotti virtuosi”, e naturalmente non può mancare Virgilio l’Oste Resistente dell’Oltretorrente di Parma che qui viene ricordato come il “Grande Gigante Gentile, burbero almeno quanto richiesto a un oste che si rispetti” e nella appendice ritroveremo anche le acciughe.

Questa guida si pone uno scopo preciso, rispondere al turista che si avventura per Parma, un turista fai da te, non al seguito di una comitiva organizzata che nel cercare un luogo si chiede che cosa vuole o di cosa abbia bisogno, e vuole fornirgli una “mappa di percorsi virtuosi tracciati” dove attingere.

Se in #mondoristorante vi era una aperta condanna alle multinazionali del cibo e correlativamente vi era il monito rivolto al ristorante resistente  a essere “nemico del prodotto imbroglio” e di qualsiasi abominio geografico e a guardare alla qualità dei prodotti che utilizza, che rispetta ove possibile la provenienza biologica, e soprattutto che dimostra di conoscere la stagionalità degli alimenti che utilizza nel predisporre il menu e  si terminava con un capitolo dedicato al Galateo del Cliente, qui l’accento si sposta decisamente sul cliente virtuoso.

Se infatti  all’inizio Farinotti riporta il “Manifesto del Ristoratoratore Resistente” e il suo decalogo, proseguendo nella lettura ritorna il concetto di “marketing e positioning” studiati per “bypssare il processo di scelta consapevole” ed ecco quindi che la guida per ricercare la necessità reale del cliente cerca di realizzare una sorta di “targettizzazione virtuosa” tra consumatore e esercente.

Accanto al decalogo del Ristoratore Resistente compare quello del Cliente Virtuoso.

Non vi svelo quali siano i precetti ivi indicati, lasciandovi il piacere di scoprirli con la lettura.

Ultime note tecniche: il libro è organizzato per zone e pensato appunto per un turista che voglia fare una visita esperienziale di Parma, con breve descrizioni dei quartieri e delle sue caratteristiche, con l’indicazione degli esercizi ma anche dei negozi recensiti, volendo andare incontro anche al turista che abbia un appartamento a disposizione e voglia quindi cucinare.

E’ infine organizzato anche per categorie di locali (notturni/diurni)   e tipologia di clientela (famigliare o meno) e non si limita alla sola area cittadina ma esamina tutta la provincia con uno sguardo anche ai prodotti tipici e ai produttori resistenti.

Last but non least è tradotto anche in inglese, uscirà dapprima legato alla Gazzetta di Parma nel mese di giugno e successivamente approderà nelle librerie e nei principali store on line e sarà disponibile anche in ebook per essere fruibile anche al turista tecnologico.

Luca Farinotti presenterà il libro in anteprima  martedì 18 giugno alle 19 per la presentazione di:

“Parma 2020 – Best Restaurants & Food Producers” (Diabasis), la nuova rivoluzionaria guida alla ri-scoperta della capitale della cultura 2020 e della gastronomia UNESCO nonché della Food Valley attraverso percorsi tracciati sulle soste presso i posti di ristoro, i negozi e i produttori virtuosi del territorio. Il volume, scritto da Luca Farinotti, in italiano e inglese, sarà presentato martedì18 giugno alle 19 c/o Chourmo EnoLibreria in Oltretorrente (uno dei quartieri di Parma maggiormente approfonditi nel libro).
Martedì 18 giugno, in occasione della presentazione, sarà possibile acquistare il “Parma 2020 Best Restaurants & Food Producers” in anteprima assoluta presso la libreria. La guida uscirà poi in vendita nei prossimi giorni allegata a Gazzetta di Parma per alcune settimane e, in seguito, distribuita in libreria.

Presenteranno Luca Farinotti (autore) e Marco Pozzali (autore della prefazione). Hanno collaborato alla guida Angela Sebastianelli (versione inglese e contributi), Filippo Vettore, Marco Tullio CarneriniMichele Trasatti e Marina Restori. Il magnifico reparto iconografico a cura di Fabio Furlotti.
Partecipate

Isabella Grassi  

[INTERVISTE] Intervista con l’autore. Michele Bussoni

Oggi la nostra Isabella Grassi intervista lo scrittore parmigiano Michele Bussoni

Salve a tutti!

Copertina romanzo "Svolvaer. I fiordi del perdono"In questo giorno di Pasqua la nostra inviata dalle terre parmensi, l’impareggiabile Isabella Grassi, intervista per noi lo scrittore parmigiano Michele Bussoni che ha di recente pubblicato nella collana “Gli Aedi” della Pedrazzi Editore il proprio nuovo romanzo dal titolo “Svolvaer. I fiordi del perdono“.

Ma ora è giunta l’ora di cedere la parola alla nostra Isabella e al suo graditissimo ospite al quale vi invito a dare il vostro più caloroso benvenuto.

Oggi ho intervistato per voi uno scrittore della mia città, che con “Svolvær. I fiordi del perdono” edito da Pedrazzi Editore, 2019 mi ha fatto letteralmente viaggiare attraverso la Norvegia, luogo che non conosco ma dove anelo di andare presto. Chi leggerà il romanzo di Michele Bussoni, parmigiano classe 1973, vivrà con lui e con i personaggi della sua opera in questi splendidi scenari.

Diamo ora spazio all’autore.

Descriviti in tre parole.

Sognatore, viaggiatore, disertore.

Cosa  ti ha spinto a scrivere?

L’ambizione di poter riuscire ad emozionare, far sognare e far riflettere i lettori. Creando immagini vivide, palpabili come fosse un film, un dipinto immortale. Non so se quanto e quando ci riuscirò. Ma se anche solo in piccolo, molto piccolo: ecco sarebbe una conquista per il mio cuore.

Descrivimi i momenti che dedichi alla scrittura e come si inseriscono nella quotidianità.

I momenti si sono divisi tra prima e dopo l’arrivo dei bambini. Ora, con loro, ho imparato a privilegiare la qualità del tempo, ineluttabilmente ridotto. Prima ero una sorta di viandante, etereo, che si perdeva spesso in distese e deserti. Ora cerco la meta, imponendomi di non sconfinare nell’ansia, altrimenti tutto ciò che potrei scrivere sarebbe inquinato da essa. Un equilibrio difficile, ma non impossibile. Poche ore, non tutti i giorni. Alla sera. Salvo buttare giù qualche appunto da sviluppare durante la giornata. Post-it attaccati qua e là, alla rinfusa, da raccogliere e assemblare.

Durante la scrittura del tuo romanzo come hai creato i Personaggi e l’Ambientazione? Ti sei  rifatto a esperienze personali direttamente?

Ho viaggiato molte volte attraverso la scandinavia. Credo sei. Privilegiando la Norvegia, per una affinità interiore che trovo quasi inspiegabile, un innamoramento che travalica la ragione. Ho visto quasi tutte le città, i luoghi più spettacolari dal punto di vista paesaggistico, ma anche storico. Le isole, Svalbard comprese. Mentre percorrevo migliaia di chilometri in auto, immaginavo quali storie, quali uomini avrei potuto trovare e incontrare. Ho buttato giù molti appunti, molte idee e una volta rientrato in Italia, mi sono ripromesso di onorare quei luoghi che tanto mi hanno dato, dedicando loro la mia passione per la scrittura. Per cui, sì: l’ambientazione è fedele anche nei particolari  a ciò che ho potuto ammirare. I personaggi sono nati osservando gente comune: al market, al bar, in chiesa. Incrociando occhi e sguardi, visi e andature, la mia mente, un poco giocando, ci ha costruito attorno poi un nome, una situazione, un carattere.

Come descriveresti la tua tecnica di scrittura?

Da ragazzo leggevo molto. Scrivevo poesie, quasi mai prosa. Quando ho deciso di cimentarmi nel racconto prima e nel romanzo poi, mi sono ripromesso di non pensare a nessun autore tra i miei preferiti, che potesse darmi un background. Ma è inevitabile che, anche inconsciamente, dei richiami ci possano essere. Non sta a me estrapolarli, ma eventualmente e critica e lettori, con i quali mi confronterò volentieri. Certo è che ho comunque cercato di unire tutte le mie esperienze in una unica forma che dovrebbe essere poi identificata come uno “stile”. E le mie esperienze sono la poesia, la prosa breve e quella lunga. Quello che ho cercato di porre in essere, è un esperimento narrativo, che potesse unire i classici, la poesia e generi diversi come l’introspettivo, l’avventura, la tragedia, l’on the road, il romanzo d’amore. Inserendo qua e là spunti di riflessione sull’arte, sulla religione e sulla natura stessa dell’animo umano.

Perché si dovrebbe scegliere di leggere il tuo romanzo?

Il mio romanzo dovrebbe essere letto per più motivi. Per sognare luoghi mitici, incredibili e poi magari programmare un viaggio per goderne direttamente dal vivo. Per chiedere a sé stessi, attraverso l’identificazione nel protagonista, che cosa siano le cose che contano davvero nella vita, se il materialismo, l’indifferenza, l’insensato orgoglio come picco di autodifesa, o l’abbandonarsi a ciò che ci “consiglia” il cuore. Questo è un romanzo totalmente slegato dai canoni della letteratura di oggi (e non ho usato apposta il termine moderno): non contiene cliché, situazioni preconfezionate, stereotipi. Non trascende in messaggi politici, non ha nessun contenuto morboso o eclatante. Esce dal mucchio, nel bene e nel male e anche solo per provare qualcosa di diverso dalla narrativa di massa proposta, vale la pena cimentarsi nella sua lettura.

Perché un romanzo di ambientazione?

Questa è una domanda molto difficile per me. Potrei dire che sicuramente, per l’esperienza e la predisposizione che ho, è ciò che mi riesce meglio e quindi “vado sul sicuro”, mi districo in un ambito che mi appassiona, che mi piace e mi da soddisfazione. Ma in realtà non è proprio così. C’è una costruzione interiore, in primis mia, dietro questa idea. Posso dire che una buona parte dei pensieri espressi dal protagonista siano anche i miei. Per comunicare tutto ciò avevo bisogno di un luogo più che la persona in sé, ed è per questo che ho scelto questa formula narrativa. Oltre che, ovviamente, per tributare, tramite immagini e descrizioni, i luoghi che mi hanno conquistato anima e cuore.

Fai una breve descrizione della tua opera, che non sia meramente riassuntiva.

Questa opera è un romanzo puro, di narrativa pura. Si suddivide in sette capitoli e comprende una prefazione breve, scritta dall’editore stesso, Fabio Pedrazzi, e una postfazione scritta dall’autore di racconti e romanzi parmigiano Lorenzo Lasagna. I primi due capitoli sono prettamente introduttivi, oltre che ricchi di flash-back e letture di un diario che il protagonista tiene con sé quasi come una reliquia. Dal terzo capitolo si articola la storia nel presente, mantenendo sempre la tecnica del narratore che descrive gli accadimenti e i luoghi. Diversi personaggi si susseguiranno fino alla fine, quando da romanzo introspettivo si trasforma in romanzo d’avventura. Diverse storie si intrecceranno, tracciando un solco definito nel quale il lettore scorre fino alla fine, avvolto comunque nella stessa atmosfera nordica, intima e poetica. I dialoghi, a volte semplici a volte profondi, a seconda delle persone che li intraprendono, spezzano il ritmo volutamente per introdurre situazioni forti e crude. Il tutto si riconduce ad un passim che è il perdono. In tutte le sue forme, come auspicio, come ricerca e soprattutto come una soluzione alla disgregazione dell’anima ancor prima che del corpo.

Cosa pensi che la lettura del romanzo lasci al lettore?

Spero che lasci dei “wow, però!”, penso che lasci il desiderio di amare di  più le persone care, la natura e le cose belle che attraversano la nostra vita, anche solo per un infinitesimo istante.

Salutato l’autore, vi presento ora il romanzo.

Svolvær. I fiordi del perdono.

Michele Bussoni

Pedrazzi Editore

2019

*****

Quando scelgo un libro o quando comunque un libro viene portato alla mia attenzione, lo tocco, lo sfoglio e lo annuso. Un libro per me deve comunicarmi qualcosa ancora prima di affrontarne la lettura. Ecco quindi che quando Michele me ne ha portato una copia autografata lo ho preso in mano e ne ho subito apprezzato la sua impalpabilità, i suoi colori tenui pur con una immagine forte. Ė un libro che comunica, completo, con una dedica molto sentimentale, con l’introduzione dell’editore e con la post fazione, fatto che io adoro.

Due sono le frasi che più mi hanno colpito.

A metà della pagina introduttiva così scrive l’editore: “Questo è un libro da sorseggiare con calma, con una tazza di tè fumante sul tavolo.”

Dalla post fazione rubo invece: “I fiordi del perdono è un romanzo dell’autenticità”.

Così è stato per me, ho veramente apprezzato la lettura sorseggiando del tè e precisamente una miscela di tè neri che ho aromatizzato con cannella, chiodi di garofani e ginger.

Un gusto forte per accompagnare una avventura nella lontana e fredda Norvegia, un’avventura che si dipana nel tempo, che attraversa vari territori e vari sentimenti.

Nomi sia di persone che di luoghi per me impronunciabili, descrizioni puntuali ma mai ridondanti che lasciano al lettore un alone di curiosità e la voglia di seguirne il percorso.

Un umano e un insolito compagno: un gabbiano. Tanti suoni descrivono questo rapporto, il gabbiano zoppica e la prima reazione di Bjarne è sbattere la porta perché lui odiava i gabbiani da sempre. Lui come pescatore li aveva sempre considerati dei grandi ruffiani, animali privi di dignità.

E poi… “d’improvviso venne svegliato da un picchiettare ritmico contro la finestra bassa antistante la porta d’ingresso, divenuto potente grazie al silenzio”, e così nasce un’amicizia con un animale “Falso come tutti i gabbiani…” e accanto a questo borbottio di Bjarne, l’animale sbatte le ali, gracchia, si raggomitola e man mano che guarisce prova a volare e sbatte contro la cucina, o finisce sopra il letto sporcandolo.

E poi inizia il viaggio, un viaggio fisico ma molto intimo. Bjarne nel suo viaggio dimostra che se la sua rabbia dura quanto un fiore di vaniglia, la sua pazienza ha la forza di attendere e di crescere per poter assistere alla nascita di un fiore di loto.

Ed ecco quindi che arrivano nuovi rumori che accompagnano la corsa impaurita e svolazzante del gabbiano: i passi di Hilde Marie ed i suo broncetti.

E poi… il viaggio vero, il viaggio finale.

La Norvegia e i suoi rigori fanno da cornice a tutto ciò, ma è il sentimento che guiderà il lettore, che dovrà poi valutare se sia l’autenticità a farla o meno da padrona.

200 pagine da leggere e sfogliare vi attendono.

Buona lettura.

Isabella Grassi

 

PS: Michele Bussoni sarà ospite della edizione 2019 dei Week End Letterari Fest che si terrà a Parma in giugno.

Seguite il sito per restare aggiornati.

https://www.weekendletterarifest.gaiaitalia.com/  

anche sui social:

https://twitter.com/WeekendLetterar/status/1114071908776140800

https://www.facebook.com/weekendletterarifest/

[INTERVISTE]Intervista con l’autore. Giuseppe Russo

Oggi la nostra Isabella Grassi intervista per noi lo scrittore casertano Giuseppe Russo

Salve a tutti!!!

In questo tardo pomeriggio tornano le interviste della nostra impareggiabile Isabella Grassi. Il protagonista di oggi è lo scrittore casertano Giuseppe Russo, al quale vi invito a dare il vostro più caloroso benvenuto. Ed ora cedo la parola a Isabella e al suo graditissimo ospite.

Oggi ho intervistato per voi Giuseppe Russo, uno scrittore casertano, come lui ama precisare. Da emiliana quale sono comprendo perfettamente il campanilismo, e allo stesso tempo non conoscevo che tra Caserta e Napoli esistesse rivalità, quindi non dirò più che è napoletano.

Questa intervista è anomala, perché se anche si rivolge ad uno scrittore, sono tanti gli interessi di Giuseppe e quindi spazierà un po’.

Diamo quindi voce al nostro ospite speciale.

La domanda di esordio è: descriviti  in tre parole. Ho avuto modo di verificare quando sia difficile questa domanda, soprattutto se rivolta agli scrittori. Anche Giuseppe non riesce a stare al gioco e così risponde:

Domanda difficile. I lettori mi perdonino, ma sono sempre un po’ logorroico, per cui cercherò di essere breve ma tre parole non possono definirmi. [Scopriremo poi se invece era possibile, nda]

Suppongo di essere un normalissimo cittadino che crede nella cultura e nella bellezza di questo Paese, ma forse più di tutto crede nella cittadinanza attiva. Nel mio piccolo, quindi, con le ricerche e la voglia di usare un linguaggio divulgativo più dinamico, racconto la storia dimenticata del nostro passato per contribuire a progettare un futuro migliore per tutti.

[Io avrei così sintetizzato: militante cultura, storico e futurista. Le parole sono quattro, ma a Giuseppe non lo diciamo…]

La seconda domanda, tendente a capire la nascita dell’opera, è stata da Giuseppe riadattata in: Com’è nato questo progetto storico?

L’idea di questa trilogia di testi storici nasce, dopo anni di ricerca e studio, dalla ferma convinzione che sia stata saltata a piè pari la vera storia dei diversi territori italiani e soprattutto dei cittadini coinvolti nel più distruttivo conflitto bellico del ‘900.

Copertina "La Guerra dimenticata. I caduti di pietra. Storia di una regione in cui cadde anche la cultura"[A questo punto serve un piccolo chiarimento: Giuseppe ha infatti pubblicato in questo ambito: I Caduti di Pietra – Storia di una Regione in cui cadde anche la Cultura, saggio storico  pubblicato nel 2014 con Photocity edizioni (oggi Boopen),  successivamente: La guerra dimenticata, secondo capitolo della trilogia, ripubblicato in edizione ampliata nel 2017  e ora sta lavorando al capitolo finale: I Caduti di Pietra – Il primo fronte, terzo e conclusivo della trilogia, a queste opere si riferisce Giuseppe.  Nda]

Prosegue poi la risposta: Buona parte degli storici, fino ad oggi, si è giustamente concentrata sul racconto dei motivi della guerra, dei suoi risvolti politici, delle tragedie umane e delle grandi azioni belliche, come l’uso delle prime atomiche o l’Olocausto, ma quasi nessuno si è soffermato in modo omogeneo e ampio a raccontare ciò che realmente abbiamo perso in termini economici, culturali e sociali durante quel tremendo periodo. La Seconda guerra mondiale, nei miei testi, oggi arrivati addirittura a generare una serie a fumetti, sviscera una “storia diversa” fatta di tele, colori, pietre, chiese, madonne, stadi, caffè storici, botteghe artigianali, musei, fiorenti aziende locali, teatri, regge e tanti altri beni culturali distrutti, deturpati, trafugati o violentati durante un conflitto assurdo e disumano. Una storia che racconta chiaramente  anche dei ritardi che alcune zone d’Italia, come la mia regione, hanno accumulato pesantemente proprio negli anni di guerra o, parlando di eventi meno tragici, ci mostra la prima vera globalizzazione avviata grazie alla presenza delle truppe angloamericane nel nostro Paese. Insomma ho voluto rendere giustizia a tutti i cittadini e alle bellezze di un’Italia che merita di essere raccontata e che, per motivi quasi inspiegabili, è rimasta senza voce per un lunghissimo periodo.

Descrivici i momenti che dedica alla scrittura e come si inseriscono nella quotidianità.

I Caduti di Pietra - The Comicbook SeriesLa scrittura si inserisce nel mio quotidiano come naturale espressione personale di vita. Dal giornalismo all’insegnamento, visto che mi occupo anche di recupero territoriale, sostenibilità ambientale e turistica, passando per il nuovo lavoro in una stimolante azienda di Innovation Technology, finisco le giornate studiando e compilando i nuovi testi che saranno via via pubblicati anche nel corso del 2019. Vi ho già detto che a breve sarà pubblicato il primo numero della serie a fumetti? I Caduti di Pietra – The ComicBook Series partirà con Operazione 51, la vera storia del furto di importanti tesori italiani presi dai tedeschi della Divisione Goering durante la prima evacuazione dell’Abbazia di Montecassino nell’autunno del ’43. Una serie che approfondirà, attraverso la CGI (ndr grafica computerizzata), il disegno fumettistico classico, i testi, e perfino le  foto d’epoca, alcuni episodi contenuti nel mio ultimo libro La Guerra Dimenticata. Il vero problema è che lavorando da sempre con il pc, “me tapino”, la mia scrittura è sostanzialmente digitale e sento la mancanza dell’uso di una bella penna e di un profumatissimo foglio di carta come facevo ai tempi dei pen pals e delle snail mails. Chissà se qualche lettore ricorda questi termini!

[già chissà…]

Anche per la domanda successiva, che normalmente mira a conoscere ambientazione e personaggi di un libro, Giuseppe ha preferito un taglio diverso e così ha ritenuto di rispondere ad un quesito così formulato: Da dove nasce la passione per la Storia e per questa particolare prospettiva d’analisi che fa parlare il nostro Patrimonio culturale?

Cerco di sintetizzare ma sicuramente ometterò parti importanti. La storia vissuta da mio padre durante i bombardamenti prima e durante lo sbarco alleato in Sicilia, l’occupazione della Campania, nonché la sua partecipazione alla ricostituzione delle forze armate è sicuramente parte fondamentale dell’interesse per quel periodo storico. Inoltre non posso dimenticare le foto di famiglia nei cassetti, i racconti dei nonni, nonché quelli della ricerca di cibo durante i bombardamenti, come pure le storie della presenza degli americani a Caserta, nella Reggia borbonica, che si inseriscono nella bellezza monumentale dei tanti tesori locali nei quali ho addirittura giocato da bambino. Il bello lo si apprende con l’anima, da piccoli. Credo sia utile ricordare che ho iniziato a camminare proprio nei giardini delle Reggia e alla Flora, il giardino che si trova di fianco il palazzo reale, parte integrante non solo della mia vita ma anche di quella di tanti altri casertani dell’epoca. Bisogna abituare i cittadini al bello e al rispetto dei nostri tesori. Oggi li abituiamo ai centri commerciali. Ci sarà qualcosa di sbagliato, no? La ricerca delle radici familiari, poi, ha acceso in me la necessità di rileggere la storia e divulgarla. Il resto è venuto da sé, come un’altissima onda in procinto di colpire la costa.

[ecco che compare il campanilismo campano…]

Come descriverebbe la sua tecnica di scrittura?

Tecnica di scrittura? Direi che non scrivo, piuttosto cerco di parlare alle persone come si fa tra amici, magari in un bar davanti ad un bel caffè, oppure in un ristorante mangiando mozzarella, prosciutto di Parma, lasagne e una bella parmigiana di melanzane. Però una bella pizza, non sarebbe una cattiva idea ora…..

[qui Giuseppe non ha cambiato la domanda, ma ha aggirato la risposta…]

Perché si dovrebbe scegliere di leggere il suo saggio?

Perché fino a pochissimi anni fa la storia d’Italia è stata distorta, deviata, solo parzialmente raccontata, probabilmente per necessità di politica internazionale. Finalmente la morsa si è allentata e molte delle tragedie insabbiate dalla storiografia ora possono essere divulgate come faccio io. C’è chi si occupa di stragi naziste, chi di partigiani e “liberazione”, io credo di raccontare, finalmente, la vera storia delle nostre genti, una storia che si evince solo se si guarda la guerra attraverso la prospettiva delle tradizioni locali e dei beni culturali coinvolti nel conflitto, ovvero usando i veri indicatori della vita delle persone: chiese, credenze religiose, sport, lavoro, vita sociale, teatri, cinema, regge, piazze e borghi. Chi viene ad ascoltarmi resta a bocca aperta perché, come mi è stato più volte riferito, ci si accorge di quanto la Seconda guerra mondiale abbia tolto all’Italia e soprattutto al sud. È una storia che parla davvero di noi, della gente e dei luoghi del cuore.

Faccia una breve descrizione della sua opera, che non sia meramente riassuntiva.

Una breve descrizione su 500 pagine? Impossibile, credo però di poter fare un invito alla lettura della mia “storia diversa”, una storia che racconta davvero l’Italia degli anni ’30 e ’40. Nei miei testi troverete sempre racconti veri composti da nonne che interravano i mestoli per sottrarli alle richieste del regime, fino ad arrivare alle prime soldatesse in Italia che mostravano, alle nostre madri, una nuova condizione della donna possibile e moderna. Ma potrete scoprire anche la nascita del turismo commerciale, figlio reale di un fenomeno che coinvolse prima i soldati tedeschi e poi quelli angloamericani nelle visite organizzate delle nostre città d’arte e delle bellezze naturali italiane. Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Pozzuoli, Sorrento, Positano, Ischia e Capri visitate esattamente come avviene oggi, tra tour organizzati, ristoranti e negozi di souvenirs. La Guerra Dimenticata vi aspetta per trasportarvi nell’Italia in guerra, nelle operazioni segrete per trafugare la nostra arte e per farvi rivivere la presenza degli Alleati con le donuts, le tavolette di cioccolata ed i primi musical americani.

[non c’è che dire Giuseppe non ha proprio il dono della sintesi…]

Cosa vuole comunicare ai lettori attraverso i suoi saggi storici “diversi”?

Cerco di comunicare la bellezza del nostro Paese nella sua interezza ed integrità storica attraverso, però, un ragionamento che si dipana da un periodo del passato che ci ha profondamente cambiati. Partendo dalla perdita di una non piccola porzione dei nostri tesori artistici, passando per i furti nazisti ed i vandalismi angloamericani, si arriva a spiegare anche il processo di modernizzazione e “americanizzazione” che abbiamo subito e viviamo ancora oggi. Ma soprattutto si spiega tra le righe, proprio grazie alla prospettiva dei beni culturali intesi nella vasta accezione moderna, il perché di tanti problemi che continuano ad affliggere “l’Italia dei cachi”, quella ben raccontata dalla famosa canzone di Elio e le storie tese!

Salutato l’autore, vi dovrei ora parlare delle sue opere, ma siccome della trilogia ci ha ampiamente parlato Giuseppe e avete già tutti i riferimenti utili, ora occupo lo spazio rimanente per parlare delle “attività collaterali” di Giuseppe Russo, avuto sempre riguardo alle sue opere.

Immagine dalla mostra "Le Cinque Onde"

Mi riferisco in particolare al fatto che dal 14 dicembre  2018 è presente con una mostra al Museo Civico di Santa Maria Capua Vetere grazie all’attenzione dell’Amministrazione comunale.

Immagine dal Post Mostra "Le Cinque Onde"

 

Chi riuscirà a visitarla (durerà due mesi) avrà l’opportunità di comprendere le ragioni che resero la Campania fulcro della guerra nel Mediterraneo. Si tratta di una mostra foto-documentale visitabile nel complesso di Piazza Angiulli.

Sarà anche una opportunità per conoscere la nuova serie a fumetti “I Caduti di Pietra – The Comicbook Series” di cui abbiamo appena accennato. La serie a fumetti si avvale di importanti contributi artistici e giornalistici, con tavole speciali del fumettista pugliese Joel Folda e del professore Gianni Parisi, con introduzione dello storico locale Domenico Valeriani e conclusioni del noto giornalista Rai Nello Di Costanzo.

Saranno 12 numeri monografici che approfondiranno con il mezzo visivo alcune delle fondamentali storie contenute nei suoi testi.

Il primo numero, intitolato “Operazione 51”, racconterà della rocambolesca operazione nazista per trafugare importanti tele partenopee durante il trasferimento di tutti i beni culturali conservati a Montecassino prima della sua rovinosa distruzione nei primi mesi del ‘44.

Per informazioni su Giuseppe Russo e sui suoi interessanti progetti e opere è attivo il sito: http://www.icadutidipietra.it/index.htm dove navigando potrete anche ascoltare la lettura di alcuni brani o la Pagina Facebook.

E ora vi saluto fiduciosa di avervi allietato e di spingervi a conoscere meglio questo scrittore.

Isabella Grassi

[RUBRICHE] Spazio al personaggio: Ennio Trinelli e il teatro no word

La nostra Isabella Grassi intervista Ennio Trinelli e parla del teatro no word

Salve a tutti!
Dopo qualche tempo torna una delle rubriche più apprezzate, quella denominata “Spazio al personaggio” e condotta magistralmente dalla nostra inviata in terra parmense Isabella GrassiIsabella oggi intervisterà per noi Ennio Trinelli e insieme tratteranno del teatro no word.

A me ora non resta altro da fare che invitarvi a dare il vostro più caloroso benvenuto a Ennio Trinelli e passare la parola alla nostra Isabella Grassi:

Spazio al personaggio, una piccola incursione nel mondo della cultura, del teatro, dello sport, della musica e di quanto ci rende piacevole la vita, a cura di Isabella Grassi.

Riprendo la mia rubrica, dopo qualche mese di pausa e lo faccio con il mondo del teatro. Dopo avervi parlato di teatro classico e di regia, di teatro di parola,  di varie performance e sotto diversi aspetti anche del mondo della danza sia come teatro danza, sia per le rassegne come May Days, che per il mondo della  danza in tutte le sue sfaccettature   oggi affronteremo insieme il teatro no word e come testimonial ho scelto per voi Ennio Trinelli, emiliano come me. Io ho conosciuto Ennio partecipando ad un casting per lo spettacolo Non à la guerre spettacolo che sarà in scena al Teatro Europa di Parma il 19 ed il 20 gennaio prossimi.

Proprio dopo una delle tante prove alle quale Ennio ci sottopone è nata questa intervista, come al solito scritta velocemente sulla mia immancabile Moleskine.

Ennio parlami di te e della tua carriera artistica.

Ho studiato con fervore i vari aspetti artistici del mondo del teatro, dalla danza alla recitazione, al mimo e alla commedia dell’arte e seppure ho calcato le scene anche come attore e danzatore la mia vocazione e lo scopo di tutto il mio percorso artistico è sempre stata la regia.

Ritengo che la cultura debba servire a migliorare i rapporti con le persone, non a peggiorarli e facendo questo percorso, questa riflessione è nato il mio stile registico.

Mi piace lavorare con le persone e vederle crescere, far comprendere loro come l’egopatia da palco sia dannosa: rispetto al piacere che mi dà  il vedere un attore crescere prova dopo prova, il piacere della rappresentazione passa quasi in secondo piano.

Provando con te ho potuto assimilare un approccio multiculturale e un tipo di teatro, quello no word che permette una libertà di espressione senza barriere. Vuoi parlarmi in particolare dello spettacolo Non à la guerre?

Non à la guerre 4Il titolo originale era “La harb non à la guerre”, le prime due parole sono arabe ed hanno il medesimo significato delle successive parole francesi che rappresentavano allora la seconda parte del titolo.

Nasce dal racconto di quatto ragazzi che sono fuggiti dalla ex Jugoslavia e del loro vissuto, è uno spettacolo di  teatro-no word, interamente dedicato all’essere contro la guerra.

Durante una giornata apparentemente normale e in tempo di pace la vita di una comunità metropolitana viene improvvisamente sconvolta da un attacco. Non à la guerre è uno spettacolo dove la drammaturgia è scritta dalla musica e mancano le parole, sostituite dai gesti e dagli sguardi degli attori.

Qual è il messaggio che spera questo spettacolo lasci agli spettatori? Qual è il testo non scritto, non detto?

Non à la guerre 3Spero vivamente di riuscire a trasmettere l’empatia del NO alla Guerra, intesa come volontà di cancellare la causa di ogni possibile guerra.

Allora in realtà il titolo che è l’unico dato testuale racchiude interamente in senso dello spettacolo, o possiamo coglierci anche temi oggi molto attuali, legati alla questione migranti?  

Non à la guerre 1Lo spettacolo è una esplicita condanna al sentimento guerriero che è insieme la causa e l’effetto di tutte le guerre, e quindi foriero di discriminazioni e razzismi. Esiste la guerra, la viviamo, la tocchiamo in quanto esiste dentro di noi; credo che solo se riusciamo a sostituire tale sentimento con il desiderio di pace allora, e solo allora, questa sparirà.

Nda: lo spettacolo che verrà messo in scena al Teatro Europa a Parma il 19 gennaio alle 21:15 ed il 20 Gennaio 2019 alle 17:00 è inserito all’interno di un Festival: Festival Urla dal Silenzio

Per maggiori info sullo spettacolo visitate la pagina dedicata sul sito di Europa Teatri di Parma.

Ma se volete seguire anche Ennio potete leggere il suo sito di notizie di cui lui è l’editore gaiaitalia.com notizie.

Isabella Grassi

Facciamo la conoscenza con Ernesto Masina

Intervistiamo Ernesto Masina e conosciamo meglio le sue opere

Salve a tutti!

Ritratto di Ernesto Masina

Stanotte conosciamo meglio l’autore del romanzo “L’orto fascista” e scopriamo quali sono le sue nuove opere. Quindi vi invito a dargli il vostro più caloroso benvenuto e gli cedo la parola:

Innanzitutto ti chiederei di presentarti brevemente. Chi è Ernesto Masina?

Sono un vecchietto che dopo aver tanto letto, sempre meno soddisfatto dal contenuto dei libri che acquistavo, ha deciso un giorno di tentare di scrivere il libro che mi sarebbe piaciuto leggere. A prendere questa decisione ha contribuito anche mia moglie che, stufa di trovare libri dappertutto essendo la libreria stracolma, mi ha vietato di portarne a casa altri. Ed io, da marito ubbidiente, ho cercato di accontentarla…..imbrogliandola un po’. Acquistavo libri, li leggevo e poi  li regalavo alla biblioteca della mia città. Quando a qualche amico o a qualche vecchio compagno di lavoro confidavo che avevo deciso di diventare uno scrittore tutti prendevano atto con il sorrisino di circostanza senza crederci minimamente. Quanti, infatti, hanno sostenuto nella propria esistenza di avere un libro da scrivere. Tanti ed in buona percentuale convinti di poterlo fare.

Innanzitutto ti chiederei di presentarti brevemente. Chi è Ernesto Masina?

Beh io una mattina, poco dopo aver compiuto 76 anni, mi sono seduto al computer ed ho iniziato a scrivere. La prima riga subito cancellata perché ritenuta banale e subito riscritta. Mah, questa volta mi pare vada meglio, mi dissi compiaciuto. Ma dopo un attimo di riflessione prendevo la definitiva decisione: scrivo, non rileggo e poi vedremo. E così ho fatto. Prima titubante, poi sempre più sicuro. Improvvisamente mi sono trovato a scrivere quasi sotto dettatura. Le frasi andavano a collocarsi sul foglio quasi come se qualcuno alle mie spalle me le dettasse. Come se la trama fosse già scritta ed avesse solo bisogno di essere svelata. Dopo qualche tempo cominciai a godere del delirio da onnipotenza. Infatti per uno scrittore i personaggi descritti sono veramente vivi. Poter far fare brutte figure a quelli antipatici diventa una forma di godibile sadismo. Glorificare invece quelli che ti scaldano il cuore diventa una forma di paradisiaca soddisfazione.

Hai autori di riferimento?

Non ho autori di riferimento. Ho letto di tutto nella mia vita partendo dai russi, passando (ovviamente) per Heminguay, Piero Chiara, Sciascia, Veltroni, Carofiglio e poi, per rasserenare la mia vecchiaia, Camilleri. Ho incontrato, ovviamente, molti altri nomi. Alcuni hanno contribuito alla mia formazione culturale e politica, altri mi hanno stufato perché uno scrittore quando non ha più nulla da dire dovrebbe avere il pudore di smettere di scrivere. Pansa, per esempio, è uno di quelli……

Da dove è nato il tuo romanzo, davvero ben scritto e a tratti assai divertente, “L’orto fascista”?

“L’orto fascista” come dicevo è nato per caso. Ma è stato per me importante anche perché mi ha riportato alla mia infanzia. L’Ernesto del libro ovviamente sono io e buona parte di quello che racconto sono ricordi veramente vissuti. Scrivendo di quei fatti sono stato assalito da uno sciame di tante altre cose accadute. Periodi grami quelli degli anni quaranta ma con momenti anche di gioia. Allora tutti si soffriva per la guerra, per l’invasione tedesca. Anche ai ricchi mancava il lusso ed il cibo, l’eleganza, non si potevano fare viaggi, la villeggiatura era praticamente impossibile. E’ stato un po’ come vivere “A livella” di Totò. Ricordo che uscendo da scuola speravo sempre di trovare la mamma di un mio compagno che viveva in una “fattoria”. Se mi avesse invitato l’uovo sbattuto con lo zucchero per merenda sarebbe stato assicurato (Le uova va bene, ma non sono mai riuscito a capire dove trovassero lo zucchero…). Dovendo trovare il luogo dove far svolgere la trama del mio primo romanzo non potevo che scegliere il mio amato Breno, il paese ove dal 1300 vivono i miei avi materni). A parte per l’affetto che porto ai luoghi anche perché ho un nitido ricordo delle persone che vi abitavano (e quindi le potevo descrivere con buona approssimazione) e perché i fatti che narro potevano solo essersi verificati in un piccolo paese dove tutti si conoscono e dove la connivenza è possibile. La grande meraviglia che ho vissuto è stata quando, dato insperatamente alle stampe il romanzo, ho avuto i primi riscontri positivi. Io ero partito per scrivere un libro per me ed al massimo per qualche parente o amico. Quando l’editore mi chiamò e mi diede i primi numeri delle copie vendute rimasi incredulo. Poi la pioggia delle critiche positive. Infine la notizia che i giornalisti de “La Stampa” avevano collocato il mio lavoro nel sito “Lo scaffale” ove vengono ospitati solo i romanzi che non dovrebbero mancare in nessuna biblioteca famigliare…..A momenti svenivo.

Ci puoi parlare brevemente dei tuoi nuovi romanzi?

Dopo il primo chiamiamolo “successo” (che mi ha un po’ dato alla testa) anche in forza delle insistenze delle persone che mi stavano vicino non potevo non tentare la seconda avventura. “Gilberto Lunardon detto il Limena” non è il seguito del fratello maggiore. I fatti si svolgono sempre a Breno, si ritrovano alcuni dei personaggi dell’ Orto fascista, ma appaiono altri personaggi venuti da “fuori”. Siamo dopo il 25 Aprile, l’aria è diversa. Ci sono persone che arrivano non guardate con sospetto come avveniva sotto la dominazione tedesca. Altri hanno, finalmente, la possibilità di buttarsi in viaggi ed avventure impensabili. Credo di aver conservato quel modo piacevole (cos’ è stato detto) di esporre i fatti coltivando la curiosità dei lettori con una trama avvincente.  Infine, alla venerando età di 83 anni, è uscito “L’oro di Breno” che sembra sia anche lui ben accolto dal mio pubblico. E’ una romanzo nuovo (per me) come stile. Si compone di tre racconti brevi di fatti avvenuti negli anni 39/40 che vengono alla luce nel 1948 e trovano il loro compimento nel racconto lungo. Speriamo in bene. Penso che tutti gli scrittori si innamorino di almeno uno dei propri personaggi. Io sono innamorato del Don Arlocchi, il Coadiutore del Parroco di Breno. Non riesco a staccarmi da lui. Ed allora pensa e ripensa ho scritto un nuovo libro (che non so se e quando uscirà) che parla di un assassinio del quale il buon prete viene a conoscenza in confessionale. E’ lui che si lascia coinvolgere e che praticamente svolge le indagini al posto del Maresciallo dei Carabinieri e del Giudice.                                                

Grazie infinite a tutte e tutti voi per la pazienza e l’attenzione e arrivederci alla prossima occasione!

Buonanotte e, come sempre, Buona lettura!

Con simpatia! 🙂

Intervista a Sara Grosoli, traduttrice e studiosa di letteratura d’epoca

Salve a tutti!

Non ho resistito alla “tentazione” di riportare anche qui da me questa bellissima intervista a Sara Grosoli, traduttrice per “L’Iguana Editrice” realizzata da Romina Angelici e pubblicata in origine su Pink Magazine Italia.

Buon pomeriggio e, come sempre, Buona lettura!

Alla prossima!

Con simpatia! 🙂

Intervista con Roberto Bonuglia

Iniziamo la settimana parlando di imprenditorialità “in rosa”

Salve a tutti!

Copertina de "L'imprenditorialità femminile italiana tra ricerca e innovazione"

Oggi facciamo la conoscenza di un nuovo professionista che ha scelto di farsi conoscere da noi. Si tratta del Dr. Roberto Bonuglia, un dottore in Storia contemporanea il cui lavoro più recente, pubblicato attraverso Youcanprint e intitolato “L’imprenditorialità femminile italiana tra ricerca e innovazione“, tratta l’argomento assai di attualità dell’imprenditorialità femminile.

Ma ora vi invito a dare il vostro più caloroso benvenuto al Dr. Roberto Bonuglia e gli cedo la parola:

Innanzitutto le chiederei di presentarsi brevemente a beneficio di quanti ancora non la conoscessero ancora?

Sono un dottore di ricerca in Storia Contemporanea. Nei miei studi mi sono occupato prevalentemente di biografie. Negli ultimi anni – dividendomi con altri lavori necessari per vivere in un Paese che non lascia molto spazio alla “Repubblica delle lettere” e un’esperienza di lavoro a Bruxelles – ho diretto il mio interesse agli studi di genere.

Cosa l’ha portata a intraprendere la carriera che ha scelto, sia a livello di studi che, poi, in ambito lavorativo?

Sicuramente la passione. Ne serve tanta in Italia. Quasi mai è facile riuscire a mantenere vivo l’interesse e la possibilità all’approfondimento, allo studio. Ma la vera “Resistenza” di oggi è questa, quella di non farsi demoralizzare.

Cosa l’affascina maggiormente del campo della comunicazione?

È uno dei pochi ambiti in cui il confronto e l’approfondimento riescono ancora a conservare il proprio significato. Nell’era dei “social media” tutto corre veloce ma il prezzo da pagare per la velocità e la condivisione spesso è la superficialità. Invece viviamo in modo sempre più complesso che ha bisogno di riflessione e, per l’appunto, di approfondimento.

Quali crede siano gli errori in ambito comunicativo che una persona, sia essa una personalità di spicco o un comune cittadino, deve assolutamente evitare?

Essere scontato, parlare per slogan. La velocità dei nostri tempi fa facilmente scivolare nel riassunto. Inteso in senso emozionale e dogmatico. Serve invece il coraggio di dare il giusto peso al tempo ed all’approfondimento. Sono tempi difficili perché stiamo perdendo la capacità di riflettere su ciò che ci circonda.

Avendola vissuta dal di dentro cosa pensa dell’editoria nel nostro paese?

Non è peggiore di quella europea. Certamente la tendenza accademica agli “orti oricellari” di machiavelliana memoria non ci aiuta. Ma c’è spazio per la creatività e la qualità. Basta cercarla e soprattutto perseguirla.

Passando al libro dedicato all’imprenditorialità femminile cosa l’ha interessata maggiormente dell’argomento?

La storia ufficiale del nostro Paese ha bisogno di essere accompagnata da quella della quotidianità per essere compresa nella sua interezza. Leggiamo spesso statistiche che sono di difficile interpretazione e che lasciano poco spazio ad una realistica presa di coscienza della realtà. In Italia pochi sanno che l’imprenditoria femminile, ad esempio, gode di ottima salute e rappresenta una storia di cui andare orgogliosi, anche e soprattutto rispetto agli altri Paesi europei. Non abbiamo nulla da invidiare a nazioni come Belgio, Francia, Germania, Norvegia. Noi siamo un paese con radici matriarcali anche se pochi se ne rendono conto. E oggi la realtà imprenditoriale risente di questa impostazione endemica. Il “Miracolo economico” italiano lo hanno fatto le donne con la parsimonia che avevano imparato dalle loro madri. Oggi le donne possono dire la loro e rappresentare un valore aggiunto nell’economia del Paese anche se questa dalla “parsimonia” è passata al “consumo”.

Da dove è partita l’idea di scriverlo?

Sagoma di un'imprenditriceDa una borsa di studio vinta nel 2009. Ero allora l’unico uomo in Italia ad occuparsi di studi di genere. Forse lo sono ancora. Ma sono sempre stato contrario agli steccati “ideologici”. Quelli di genere rischiano di diventare un limite all’oggettività. Negli ultimi anni mi sono reso conto che era necessario porre attenzione sul fenomeno. Le donne sono in Italia una realtà fondamentale nell’intraprendenza in tempi di crisi. Le imprese femminili sono quelle che non a caso hanno meglio resistito alla crisi del 2008. E non c’entra nulla la legislazione che pure ha tutelato le imprese in rosa: c’entra l’innata tendenza femminile a “resistere” e a “fare” indipendentemente dal contesto storico-sociale. Gli uomini spesso si scoraggiano, le donne sono molto più incoscienti e coraggiose. Ma in tempi di crisi serve proprio questo.

 

Quali sono, a suo avviso, i difetti in questo ambito ai quali porre rimedio?

Una donna imprenditrice sicura di séLa cultura di genere deve smettere di ideologizzarsi. Mi spiego meglio: le donne non devono più sentirsi in competizione col mondo che le circonda, soprattutto quello maschile. Non serve. Non dobbiamo passare dal “femminismo” al “donnismo”. Serve prima di tutto a loro. Le donne devono sentirsi libere di intraprendere. Di lanciarsi nella libera iniziativa. Lo devono a loro stesse. Perché la storia ce lo conferma: le imprese “in rosa” resistono molto più di quelle degli uomini. E comunque la corsa non va fatta sugli uomini. Va fatta sull’indipendenza e sulla capacità. Se le donne capiscono questo non avranno più nulla da invidiare a nessuno. Come è giusto che sia.

Grazie infinite per la pazienza  e la disponibilità!

Grazie di tutto cuore anche a tutte e tutti voi per la pazienza e l’attenzione e arrivederci alla prossima!

Buona serata e, come sempre, Buona lettura!

Con simpatia! 🙂

Copertina de "L'imprenditorialità femminile italiana tra ricerca e innovazione"

[INTERVISTE] Scopriamo l’artista… Con noi Emanuela Riverso

Un’intervista all’autrice del saggio “L’Aquila e il Camaleonte. Vita e scrittura di Lou Andreas-Salomé e Anais Nin”

Salve a tutti!

Copertina de "L'Aquila e il Camaleonte" di Emanuela Riverso

Dopo la presentazione del suo saggio dedicato alle figure di Lou Andreas-Salomé e Anais Nin l’autrice, Emanuela Riverso, ha gentilmente accettato di fare una chiacchierata con noi. Vi invito quindi a darle il vostro più caloroso benvenuto!

Innanzitutto ti chiederei di presentarti brevemente.

Grazio Riccardo, sono molto felice di essere ospite del tuo blog.

Sono Emanuela Riverso, grande appassionata di luoghi della letteratura. Dopo tanti anni trascorsi all’estero, il magazine Luoghi d’Autore e il gruppo alberghiero per cui lavoro a Cremona mi consentono di coniugare gli impegni professionali con le mie passioni personali, ora che risiedo stabilmente in un luogo; i viaggi continuano ad essere un’altra mia grande passione che condivido con la mia famiglia, mio marito Aldo e la nostra piccola Maia.

Passando a parlare del tuo saggio dimmi, come ti è venuta l’idea per “L’Aquila e il Camaleonte”?

Seguendo “percorsi” di lettura anche diversi avevo incrociato queste due affascinanti ed intriganti figure femminili, Lou Andreas-Salomé e Anaïs Nin e raccolto su di loro una mole incredibile di materiale, spesso anche inedito in Italia: mi è sembrato naturale voler dare ordine a tutte le informazioni che avevo raccolto ed indagare le affinità e le differenze tra questi due archetipi di donna in una forma che sempre più si è evoluta in vera e propria ricerca.

Come mai hai scelto proprio quelle protagoniste? Cosa ti spinta ad avvicinartici?

Direi che è stato il caso o forse il destino. Studiando Rainer Maria Rilke mi sono interessata a Lou Andreas-Salomé: questa brillante intellettuale russo tedesca (ho studiato letteratura tedesca e letteratura russa all’università e la Salomé, appartenendo a questi due mondi, non poteva non incuriosirmi) era stata determinante per la vita e la produzione artistica del poeta. Contemporaneamente, fra le letture non universitarie, in quel periodo stavo affrontando Henry Miller ed il conflittuale rapporto con la sua Musa, la diarista Anaïs Nin. Come scrivo nella parte introduttiva del mio saggio «Chiunque abbia letto o scoperto dettagli su Lou Andreas-Salomé e abbia poi affrontato alcune pagine di diario di Anaïs Nin non può non giungere alla seguente conclusione: Lou e Anaïs sembrano quasi conoscersi, l’una rievoca nel ricordo l’altra».

Quali sono le caratteristiche delle protagoniste che ti hanno portato a dire, loro saranno le eroine del mio saggio?

Quando ho iniziato a dedicarmi alla lettura dei loro scritti (epistolari, romanzi, diari) non avevo la minima idea che avrei scritto un saggio: parliamo di diversi anni di letture nel corso dei quali la stesura di questo lavoro non rientrava proprio fra i miei progetti e le mie aspirazioni, né una volta concluso pensavo di vederlo davvero pubblicato. Ho scritto queste pagine molto tempo fa e il lavoro è stato tenuto chiuso nel cassetto per diversi anni; un anno fa ho capito che era arrivato il momento di proporlo e devo a Osvaldo Tartaro, editore di Talos Edizioni, il grande dono di vederlo pubblicato e non più rilegato in A4, chiuso in un cassetto.

Cosa ti ha affascinato maggiormente delle protagoniste de “L’Aquila e il Camaleonte”?

Di fatto la loro innata capacità di coniugare Eros e Conoscenza dal momento che un rapporto d’amore, una relazione, erano soprattutto strettamente connessi ad una profonda intesa cerebrale. Quando parliamo di importanti legami con personaggi come Rilke, Nietzsche, Miller o Artaud, non stiamo parlando di donne belle (seppure lo fossero entrambe), ma di donne profondamene intelligenti, che davano molto a questi grandi artisti e tanto da loro prendevano in un rapporto intellettualmente alla pari. E per loro era del tutto naturale. Ma mi ha colpita molto anche il rapporto di amicizia che sono riuscite a instaurare con le donne, fatto di stima, di fiducia, di complicità; anche questa una caratteristica di entrambe. Una grande amica di Anaïs Nin è stata la giornalista americana Barbara Kraft, con cui sono entrata in contatto qualche anno fa: a lei si devono due belle pubblicazioni, che spero di vedere presto tradotte in italiano, che raccontano gli ultimi anni di vita trascorsi a Los Angeles da Anaïs Nin e Henry Miller e che bene descrivono anche questa capacità di intesa di Anaïs con le donne.

In quale delle due ti riconosci maggiormente (sempre che tu ti riconosca in una delle due)?

In nessuna delle due dal momento che sono completamente diversa da entrambe, come Lou e Anaïs lo sono state fra di loro. Questo mio lavoro è infatti sotto forma di saggio proprio perché vuole essere una ricerca, lucida e obiettiva, che per la prima volta mette in relazione queste due figure femminili appartenute a due epoche storiche già diverse ma con una conoscenza in comune e proprio la scoperta di questa figura maschile che le lega (qui non anticipo di chi si tratta) ha rappresentato il punto di svolta, la scintilla decisiva che ha provocato l’idea del saggio.

Lou e Anaïs hanno inoltre catturato la mia attenzione per la loro capacità di essere semplicemente se stesse, nel bene e nel male e questa curiosità iniziale è stata alimentata dal trovare sul mio percorso continuamente qualcosa che le riguardasse. I lettori appassionati conoscono bene quella sensazione di libri che ti stanno aspettando, quando li trovi senza cercarli, in una libreria o su una bancarella e questi incontri, questo percorso di lettura tracciato dal caso, negli anni si è gradualmente trasformato, come dicevo, in una vera ricerca.

Ringrazio nuovamente di tutto cuore Emanuela Riverso per la cortesia e la disponibilità!

Grazie infinite anche a tutte e tutti voi per la pazienza e l’attenzione e arrivederci alla prossima occasione!

Buonanotte, buon Ferragosto e, come sempre, Buona lettura, magari proprio con il bellissimo saggio di Emanuela Riverso edito da Talos Edizioni!

Con simpatia! 🙂

Copertina de "L'Aquila e il Camaleonte" di Emanuela Riverso

Spazio al personaggio. Patrizia Mattioli electronic girl

Nuova incursione nel mondo di tutto quanto ci rende piacevole la vita della nostra Isabella Grassi

Salve a tutti!

In questo sabato sera la nostra inviata dalle terre parmensi Isabella Grassi ci presenta, all’interno della sua rubrica Spazio al personaggio, una nuova ospite collegata a LOFT, il progetto presentato in questo articolo.

Si tratta dell’electronic girl Patrizia Mattioli alla quale vi invito a dare il vostro più caldo benvenuto:

Patrizia Mattioli alla consolle

Spazio al personaggio, una piccola incursione nel mondo della cultura, del teatro, dello sport, della musica e di quanto ci rende piacevole la vita, a cura di Isabella Grassi.

Oggi torno per voi nel mondo della musica, dopo il jazz e il rock, è il momento della musica elettronica e per questo campo ho scelto per voi Patizia Mattioli una electronic girl.

Romana di nascita, arriva a Parma a soli due anni e si diploma al locale Conservatorio Arrigo Boito    in clarinetto, trascorre però tutta l’età giovanile in vari gruppi di avanguardia musicale, suonando musica post industriale, di avanguardia e contemporanea.

Cosa ti ha lasciato questa tua esperienza nei vari campi musicali?

La curiosità e la sperimentazione musicale mi hanno portato a studiare vari strumenti, non solo quelli classici come il clarinetto, ma altresì di scoprire le tastiere e intraprendere così percorsi sonori diversi.

Quando sei arrivata al mondo del teatro?

Ė stato nel 1989 che ho scoperto la musica per la scena teatrale e sono approdata al teatro Lenz, un teatro sperimentale di Parma dove ho collaborato per circa 10 anni.

Importanti in questo campo sono però state anche le esperienze all’estero. Ho trascorso un anno a Londra per studiare e ricercare nuove modalità di scrittura compositiva e successivamente sono stata a Parigi avendo vinto un concorso di composizione IRCAM.

Al mio rientro ho incominciato a fare progetti come autrice  e nel 2001 ho iniziato a collaborare con Europa Teatri di Parma e altri artisti della città.

Di quali progetti sei particolarmente fiera?

Vado particolarmente fiera della composizione che mi ha permesso di andare a Parigi e che ho eseguito a Londra in una chiesa anglicana.  Il titolo è “The tower of Babel”, è per quattro voci elettroniche e quatto lingue diverse: inglese, francese, tedesco e italiano.

Patrizia Mattioli alle tastiere

Altrettanto importante per me è l’Antigone di Hőlderlin, una composizione che ho fatto per Lenz Rifrazioni.

Lo scorso anno ho fatto un disco in mp3 per l’etichetta Electronicgirls, interamente di musica elettronica.

Questo il link dove si può scaricare l’album per intero: https://electronicgirlslabel.weebly.com/releases.html

Vi consiglio di ascoltare Increase, tratta della realtà come diverse dimensioni, è legato all’esplorazione di una dimensione sonora.

Altro piccolo gioiellino è Sleep Concert. Si tratta di un progetto al quale ho partecipato durante il Festival di Forte Marghera a Mestre che si chiama Electro Camp ed è organizzato da Live Arts Culture e Electronic Girls.

Patrizia Mattioli sul palco

Si è svolto nel settembre 2017 e io con altre due compositrici abbiamo suonato mentre il pubblico dormiva per sette ore dalle 00:00 fino alle 07:00, completamente in improvvisazione.  Gli spettatori erano liberi di dormire con i sacchi a pelo che erano stati loro forniti, rilassarsi o semplicemente ascoltare. Ė stata una grande esperienza, il luogo era il padiglione C32, uno degli spazi del festival, e ho suonato musica esclusivamente elettronica. Alla viola c’era Federica Furlani e alla chitarra Elettrica IOIOI.

Ora però ti sei lanciata in un nuovo progetto, completamente innovativo di cui abbiamo parlato anche su questo blog. Si tratta di LOFT, ce ne vuoi parlare?

LOFT è una Libera Organizzazione Forme Teatrali, appena partita a Parma. Ė una associazione  di liberi artisti che hanno avuto voglia di incontrarsi e di fare progetti insieme.

Il Presidente è Savino Paparella, io invece sono il Vice Presidente, l’idea è nata da Franca Tragni e Carlo Ferrari. Al momento io sono l’unica musicista, poi ci sono attori, danzatori, tecnici, registi e drammaturgi, e la sede è a Parma, siamo aperti a collaborazioni con atre associazioni ad ampio raggio.

Attualmente la rassegna che si sta svolgendo in questi giorni è ubicata nel Parco del Naviglio a Parma e nei locali delle Officine On/Off Casa nel Parco. Il progetto è stato approvato dal Comune di Parma, l’ingresso è libero con offerta il cui ricavato sarà devoluto al Centro Giovani Casa nel Parco.

Per il programma completo della manifestazione, sempre su questo blog è stato pubblicato il comunicato stampa, al quale si rimanda. Il prossimo spettacolo è lunedì 25  giugno alle 21:15, dove andrà in scena lo spettacolo Io, so? di e con Elisa Cuppini e Savino Paparella, musiche di Patrizia Mattioli, oggetti Roberto Mora.

Se volete ascoltare la musica di Patrizia Mattioli potete farlo su questo link:

https://soundcloud.com/patriziamattioli  o visitando il sito: http://www.patriziamattioli.it/  e per info visitare la sua pagina fb:  https://www.facebook.com/Patrizia-Mattioli-Musician-Composer-1469665979916823/

Buon ascolto.

Isabella Grassi

Voci precedenti più vecchie

Dalila Bellometti counsellor-artigiana della relazione

Aiuto le persone nelle relazioni, a capire le loro emozioni e a stabilire confini sani. Vivendo una vita piena.

operaidelleditoriaunitevi

Just another WordPress.com site

Mille Splendidi Libri e non solo

"Un libro deve essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi"

contro analisi

il blog di Francesco Erspamer

TRA FEDE E NATURA

Riscoprire Maria ci aiuta ad andare avanti da cristiani e a conoscere il Figlio. BXVI

JOSEPH RATZINGER :B16 e G.GÄNSWEIN

UNA RISPOSTA QUOTIDIANA AL TENTATIVO DI SMANTELLAMENTO DELLA VERA CHIESA !

Romance e altri rimedi

di Mara Marinucci

La Lettrice Assorta

Leggo storie, condivido impressioni

Iris e Periplo Review

Tutte le mie recensioni

Leggendo a Bari

“Non ci sono amicizie più rapide di quelle tra persone che amano gli stessi libri”

Viviana Rizzo

Aspirante scrittrice di cronache nascoste

La lepre e il cerchio

la lepre entrò nel cerchio e balzando annottò

LUOGHI D'AUTORE

a cura di Emanuela Riverso

erigibbi

recensioni libri, rubriche libresche e book news